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Alimentazione ed importanza ecologica del lupo. 

 

Il lupo è un carnivoro generalista ed opportunista, specializzato soprattutto nella caccia di ungulati, tuttavia all’occorrenza si adatta perfettamente all’utilizzo di altre fonti alimentari come micromammiferi, animali domestici, frutta, carcasse, rifiuti di origine umana. 

 

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Ecco un esempio della dieta del lupo in Berignone-Monterufoli, analisi eseguite da Paolo Varuzza e Daniela Giustini nel 2004.

 

Il lupo ricopre una grande importanza dal punto di vista ecologico infatti, non solo equilibra le popolazioni di erbivori predandoli attivamente, ma effettua anche un controllo indiretto nei confronti degli altri predatori, il cui impatto su lepri, conigli selvatici ed avifauna, di conseguenza, risulterà esser minore. Da sottolineare poi come la predazione di questo carnivoro sia selettiva, perché va a togliere gli esemplari menomati o malati e contribuisce così a mantenere sani gli altri, non permettendo il diffondersi di possibili malattie contagiose. Il ritorno del lupo ricompone, almeno in parte, quella catena alimentare su cui si regge l’equilibrio dell’ecosistema.

 

Inoltre ci tengo a sfatare una delle tante leggende, che rappresenta una delle cause del conflitto tra lupo ed attività venatorie, che vedrebbe questo animale come la causa principale della diminuzione di ungulati selvatici. L’azione predatoria che il lupo esercita gioca un peso modesto nelle dinamiche di popolazione delle sue prede; di contro però l’abbondanza di questi ungulati, grazie anche ai ripopolamenti/introduzioni per finalità venatorie,  ha favorito la grande ripresa demografica del predatore.

 

Pericolosità per l’uomo.

 

Altro mito da sfatare, è quello che il lupo sia pericoloso per l’uomo, in realtà è già difficilissimo riuscire ad avvistarne uno. E’ un animale elusivo, un fantasma, non attacca l’uomo ma di solito fugge.

Gli ultimi casi di antropofagia documentati sembrerebbero risalire ad oltre un secolo fa, ma le fonti di provenienza, anche in questi casi, non son del tutto attendibili, di solito frutto di antichi retaggi culturali avversi al lupo. L’antropofagia del lupo viene ritenuta dagli esperti, improponibile nell’attuale contesto ecologico europeo.

Va detto però che negli ultimi anni, con la crescita demografica della popolazione lupina, si stanno registrando sempre più casi di lupi definiti “confidenti”, cioè individui meno elusivi, con un minor timore nei confronti dell’uomo, tuttavia, precisiamo che non si sono mai verificati attacchi.

Se è vero che al momento il lupo non rappresenta un pericolo all’incolumità pubblica, lo stesso non si può dire che lo sia nei confronti dei cani; ebbene il lupo può attaccare il cane sia perché visto come un competitore ed intruso all’interno del proprio territorio, sia per ragioni prettamente trofiche. Ci sono infatti branchi, anche in Italia, che si sono “specializzati” nella predazione di cani. Per tanto si consiglia di tenere sempre al guinzaglio il proprio amico a 4 zampe in aree dove è accertata la presenza del cugino selvatico.

 

Stato giuridico.

 

Il lupo è una specie ad elevata valenza giuridica, meritevole di tutela prioritaria sia a livello nazionale, che internazionale.

Sotto il profilo legislativo, il lupo risulta:

“Specie vulnerabile” nella Lista Rossa dei Vertebrati Italiani (1998);

“Specie particolarmente protetta” nella Legge n. 157/92 e nella Legge Regionale Toscana n. 3/94;

“Specie rigorosamente protetta”: nell’allegato II, Convenzione di Berna (1979);

“Specie che richiede una protezione rigorosa” nell’allegato IV, Direttiva CEE 92/43 “Habitat”;

“Specie potenzialmente minacciata” nell’ appendice II, Convenzione di Washington (1973).

Nonostante questo stato di protezione, il lupo è comunque soggetto a fenomeni di bracconaggio (arma da fuoco, veleno, lacci, tagliole ecc) ed investimento, per la perdita totale ogni anno di circa il 15- 20% dell’intera popolazione (è una sottostima basata sui  soli rinvenimenti di lupi morti).

Non è da escludere che in un prossimo futuro si scelga di procedere con abbattimenti in deroga di un piccolo numero di lupi per anno reputati “problematici”.

 

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Femmina con manto estiva , bagnata da una fitta pioggia .Copyright Lazzeri Lorenzo

 

Problemi per la conservazione e convivenza con l’uomo

 

Attualmente la popolazione lupina italiana, è da ritenere in soddisfacente stato di conservazione, recenti tentativi di stima parlano di quasi 2000 lupi sulla nostra penisola.

Tuttavia esistono ancora oggi numerosi pericoli che possono mettere a repentaglio la conservazione della specie sia a scala locale che nazionale.

Tra i principali problemi vi sono quelli di accettazione della presenza di questo grande predatore da parte delle comunità locali, e un clima ostico da parte dell’ambiente venatorio che vede il lupo come un competitore e animale nocivo.

Una delle cause storiche più note, ma ancora attualissime, che ha portato all’estinzione del lupo in molte parti del mondo e alla sua continua persecuzione da parte dell’uomo, è certamente quella del conflitto con le attività zootecniche, conflitto che diviene particolarmente acceso nelle zone in cui vi è una sovrapposizione delle aree a maggior interesse zootecnico con quelle occupate da branchi stabili. Il problema è molto complesso e di difficile soluzione, molto avvertito  in Italia e anche in Val di Cecina, che affonda le radici in una crisi dell’allevamento e dell’ovinicoltura che perdura da diversi anni. In un contesto di malcontento generale il lupo può certamente diventare la cosiddetta “goccia che fa traboccare il vaso”, e le sue predazioni cronicizzate e ripetute su alcune aziende possono portare effettivamente alla cessazione dell’attività da parte di queste. I sistemi di prevenzione come recinzioni fisse tradizionali, recinzioni elettriche, dissuasori acustici, cani da guardiania di razze consone e selezionate a livello attitudinale, sembrano al momento essere gli unici sistemi efficaci e razionali da impiegare, non è vi è tuttavia una unica soluzione che vada bene per ogni realtà, bensì occorre scegliere e calibrare le più consone in base allo specifico contesto in cui si va ad operare e alle esigenze dell’allevatore. Inoltre da sottolineare che la prevenzione ha un costo e può portare ad un significativo aggravio del carico di lavoro nella gestione dell’attività.

Uno dei più attuali e dibattuti problemi per conservazione della specie, che ha origine antropica, è sicuramente l’ibridazione del lupo col cane. Come già detto i due canidi si possono incrociare e generare prole fertile, arrivando ad avere una introgressione del genoma canina all’interno della popolazione lupina, con una compromissione del patrimonio genetico di quest’ultima. Altri problemi generati sono la perdita del caratteristico fenotipo (le caratteristiche osservabili) lupino, problemi sanitari dovuti all’interazione tra cani vaganti e lupi, con la trasmissione di malattia potenzialmente letali per il cugino selvatico.

L’ibridazione è un problema di difficile soluzione, di questo se ne stanno occupando o se ne sono occupati in passato alcuni Life (progetti europei), operando principalmente sul controllo dei cani vaganti e sulla cattura di questi animali ibridi (preventivamente individuati attraverso un lavoro sia di campo che di laboratorio, con analisi genetiche) e successiva sterilizzazione e rilascio oppure captivazione.

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Dalla foto si può notare una colorazione decisamente slavata e tendente al rosso, non conforme al classico fenotipo del lupo appenninico, dovrebbe trattarsi (anche in assenza di analisi genetiche) di una femmina ibrida. Copyright Lazzeri Lorenzo.

 

Fondamentale sarebbe intervenire all’origine del problema, controllando i cani vaganti e il bracconaggio che può portare alla destrutturazione di un branco di lupi e quindi ad una più facile interazione con i cani, soprattutto nel periodo dell’estro delle femmine. Per cani vaganti intendiamo sia cani inselvatichiti, sia cani randagi, sia cani liberi di vagare sul territorio ma che hanno un  padrone, e probabilmente sono proprio questi ultimi i maggiori responsabili, soprattutto nelle zone rurali.

Gli ibridi lupo x cane tuttavia, a livello ecologico, svolgono lo stesso ruolo di superpredatori del lupo. Contrariamente a quanto si trova spesso scritto sui giornali, non vi sono evidenze scientifiche che rilevino che questi siano i maggiori responsabili di predazioni sui domestici e che abbiano una maggiore confidenza nei confronti dell’uomo e perciò più pericolosi.

 

 

Segni di presenza.

 

 

Impronte. Gli arti anteriori del lupo sono provvisti di cinque dita, il primo dito (il corrispondente del nostro pollice) è tuttavia posto in alto sull’arto (lo “sperone”)  e perciò non lo si ritrova nell’orma, la quale presenterà quattro dita con i loro robusti cuscinetti e le unghie ben delineate. Gli arti posteriori invece hanno soltanto quattro dita, ma sono simili nella forma alle anteriori, benché siano leggermente più piccole e strette. Le impronte delle zampe anteriori sono circa 10-12 cm di lunghezza e 8-10 cm di  larghezza, con dimensioni minori nelle femmine. Il lupo, in una certa percentuale di casi presenta la fusione dei cuscinetti centrali (3°- 4° dito) nella parte più inferiore dei polpastrelli, dove è presente un processo calloso che prende il nome di “ponte carnoso”, che tendenzialmente consente alla zampa di mantenersi chiusa e non  divaricare le dita anche su un substrato scivoloso.                                          

Tuttavia, come dimostrato da Harris e Ream (1983), non è possibile distinguere le impronte di lupo da quelle di un cane di taglia medio-grande, considerando solamente dimensione e forma dell’orma. Anche il ponte carnoso è un elemento aleatorio in quanto non sempre presente e non sempre riscontrabile nell’impronta e osservabile pure  in alcune razze di cane come Terranova e Labrador. Perciò una distinzione sul campo è  del tutto inaffidabile sia per l’enorme variabilità di razze canine, sia per la diversità del substrato, la pendenza del terreno, sia per i diversi tipi di andatura che cane o lupo possono adottare durante i loro spostamenti.

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Zampa posteriore di lupo con “ponte carnoso” ben visibile. Copyright Cras Monte Adone.

Probabile orma lupina di zampa anteriore ben visibile. 

Escrementi Gli escrementi (fatte) del lupo sono un importante segno di presenza della specie. Le fatte di lupo presentano una certa variabilità  in base al cibo che è stato ingerito. Possono essere semiliquide se prevale la componente amorfa all’interno della fatta, o solide, con un contenuto variabile di peli e frammenti ossei delle prede.

Esiste comunque una grossa variabilità nelle dimensioni ( e nell’aspetto) delle fatte, dipendente dall’età, dal sesso dell’animale e dal contenuto del pasto. L’odore è decisamente pungente a causa della secrezione delle ghiandole anali.

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Fatte lupina con setole ed ossa di cinghiale.

Nel maneggiare e  raccogliere le fatte, bisogna fare attenzione ai possibili rischi di contagio dei diversi parassiti trasmissibile all’uomo.

Gli escrementi sono molto utili per i ricercatori in quanto da essi è possibile ottenere numerose informazioni. Vengono raccolti ed utilizzati per effettuare una analisi della dieta dei lupi di quel determinato territorio, oppure analisi genetiche, in quanto è possibile trovare negli escrementi le cellule di disgregazione delle pareti intestinali del lupo dalle quale è possibile estrarre il DNA.

 

 


APPROFONDIMENTI:

 

 

Il brano è tratto da DIANA, anno LX, n. 20 del 31 ottobre 1965

Si ringraziano l'Autore e l'Editore

Testo estrapolato dal sito: http://www.storiadellafauna.it/

 

Storiella ambientata nella prima metà del ‘900, probabilmente vicino Miemo e Casaglia.

 

 

In Toscana ci sono ancora delle zone dove l'ambiente non è stato profondamente modificato dall'intervento dell'uomo e hanno conservato quasi intatta la loro naturale e selvaggia bellezza.
Una di queste zone è quella che com­prende un gruppo di belle colline poste a nord del fiume Cecina fra gli abitati di Ponte Ginori e Riparbella. Queste colline che arrivano fino a 600 metri di altezza, sono quasi completamente rivestite da una fitta macchia del tipo maremmano composta di rovere, leccio, mortella, ginepro, corbezzolo, olivastro e altre essenze sempre verdi. In certi punti la vegetazione è così densa e intricata che solo i cinghiali riescono a circolarvi.
Diverse belle riserve di caccia di ampia estensione e bene organizzate hanno mantenuto una notevole densità di selvaggina che ancora oggi permette degli ottimi carnieri in tutta la zona, anche nei terreni liberi.
In questo ambiente nacque Vittorio 72 anni or sono. Figlio di agricoltori iniziò da bambino la sua vita a contatto con la natura. Accompagnando le pecore al pascolo cominciò a osservare e a conoscere l'ambiente in cui viveva, acquistando quello spirito di osservazione e quella particolare sensibilità per tutto ciò che vive allo stato naturale che hanno gli uomini che non sono guastati dalla vita cittadina.
Si formò così una esperienza profonda sulla vita degli animali che popolavano il suo ambiente e sulle loro abitudini. Divenne esperto nel riconoscere e seguire le tracce del loro passaggio. Seguendo le impronte di un cinghiale egli riesce a stabilire con esattezza il percorso che ha fatto la notte precedente, se si tratta di maschio o di femmina, il suo peso e la porzione di macchia dove si trova, come se lo avesse condotto al guinzaglio.
Tenuto conto di queste sue particolari attitudini, era naturale che fosse incaricato di fare il guardiacaccia di una delle più belle riserve della zona e si dedicasse in particolar modo alla cattura dei nocivi. In circa 30 anni di servizio ha catturato oltre 2000 animali nocivi. Egli tiene nota da molti anni delle sue catture e dal suo diario risulta che, dal 1958 ad oggi, ha eliminato 176 volpi e 143 tassi oltre un numero notevole di faine, puzzole, martore, gazze, ghiandaie, donnole e falchi.
La sua avversaria principale è la volpe, alla quale attribuisce le peggiori qualità morali. La cattura della volpe è divenuta per lui una specie di missione che si è attribuita per il benessere e la salvaguardia della selvaggina che popola la riserva presso la quale presta il suo servizio.
Quando è sicuro che nessuna volpe scorazza nel suo territorio vive tranquillo, ma appena si accorge che una di tali predone è entrata in riserva non ha pace fino a che non l'ha tolta di meno.
Il sistema di cattura a cui dà la preferenza è il laccio. Quando egli ha accertato che una volpe frequenta una certa zona, la perfetta conoscenza del terreno in cui opera gli permette di collocare con sicurezza i lacci in certi punti dove la volpe certamente passerà e dopo breve tempo, talvolta dopo una sola notte, la volpe è catturata. Quello che stupisce è il fatto di come riesca ad accorgersi subito della presenza della volpe, se si considera che egli controlla circa 2000 ettari di terreno in buona parte coperti da una macchia quasi impenetrabile.
Diversi anni or sono, però, Vittorio si trovò di fronte ad un avversario inconsueto, ad un animale di cui non conosceva le abitudini perché non gli era mai capitato di incontrarlo: il lupo.
Dagli abitanti della regione si ricordava che i lupi avevano già fatta qualche rara apparizione. Si trattava però di comparse sporadiche, per lo più durante l'inverno in località diverse e a distanza di anni l'una dall'altra. Si conoscevano solamente 4 catture certe di cui una nel 1907, una nel 1910 e due nel 1928. Probabilmente i lupi arrivavano dall'Appennino seguendo i greggi di pecore che andavano a svernare in Maremma.
L'indizio della presenza del lupo era sempre il medesimo. I contadini che lasciavano le loro pecore all'aperto, anche di notte, trovavano al mattino una o più pecore morte e in parte mangiate e con i segni di numerosi morsi nel collo e nella testa.
Uno di questi contadini, nel 1910, aveva visto un giorno un animale, che ritenne un cane, inseguire un vitello e l’aveva rincorso e scacciato. L'aveva poi rivisto vicino a casa sua e avendo una cagna in calore si convinse ancora di più che aveva a che fare con un cane e decise di farlo venire a tiro di fucile servendosi della cagna. Era d'inverno e c'era la neve. Alla sera legò la cagna poco distante da casa e si nascose. Il lupo infatti arrivò nella notte e appena fu a tiro lo abbatté con una fucilata. Sempre convinto che fosse un cane lo buttò in un fosso.
Il giorno dopo il proprietario della tenuta, informato del fatto, volle vedere l'animale e non convinto della sua identità gli fece tagliare la testa e la mandò a Firenze per farla vedere da un esperto. Si trattava effettivamente di un lupo.
Dopo questi isolati precedenti episodi, per qualche anno non si parlò più di lupi fin quando, nell1inverno del 1933, ci fu una strage di pecore e fu ucciso anche un vitello. Furono trovati morti e in parte divorati anche caprioli e cinghialotti. Vittorio, dall'esame delle tracce, accertò che si trattava addirittura di un branco di 7 o 8 lupi. La regione fu tutta in allarme, però nessuno aveva un programma preciso per liberare la zona da questo branco di carnivori, pericolosi anche per l'uomo dato il loro numero.
Vittorio pensò ai suoi lacci e ne accennò a qualcuno ma non fu preso sul serio. Fu tentato un esperimento che non riuscì. Fu circondato un pezzo di terreno con una rete metallica, lasciando un'apertura da un lato e ci furono messe dentro alcune pecore. Un paio di cacciatori a turno di notte, si appostavano sperando che i lupi si infilassero nel recinto. Persero alcune notti, presero molto freddo ma i lupi non si videro.
Siccome le stragi di animali domestici e di selvaggina continuavano, sotto l'incubo di questa permanente minaccia, fu accolto con entusiasmo l'intervento di un funzionario della Federazione della Caccia il quale offrì la sua opera per eliminare i pericolosi ospiti.
Questo funzionario, uomo esperto di caccia e di conduzione di riserve, frequentava la zona per la cattura delle lepri con le reti. Venuto a conoscenza della presenza dei lupi, si disse disposto ad assumere l'incarico di catturarli. Portò sul posto un importante armamentario costituito da molte bellissime tagliole e un paio di scarpe speciali. Le tagliole erano di grosse dimensioni, da lupi, e le scarpe erano di forma strana. Sotto la suola avevano una specie di gabbia metallica circondata da una rete che formava una intercapedine.
L'esperto si informò minutamente della situazione, disse di avere già cacciato i lupi in Calabria e di essere sicuro di catturare anche questi. Accompagnato da Vittorio fece una ispezione nei luoghi frequentati dai carnivori e decise il suo piano di azione.
Fece ammazzare alcune lepri, tolse loro le budella e le fece fare a pezzi. Delle budella se ne servì per riempire le gabbie di ferro sotto le scarpe e con i pezzi di lepre vi innescò le tagliole. Camminando con le suddette scarpe andò a mettere le tagliole nella macchia lasciando qua e là anche dei pezzi di lepre avvelenata, e pieno di fiducia attese i risultati.
La tesa fu tenuta in efficienza per un mese e quando Vittorio ispezionava le tagliole trovava numerose tracce di lupi attorno ad esse, però nessun lupo si fece prendere.
L'esperto ormai non mostrava più la sicurezza che aveva quando era arrivato, ma continuava a sperare.
Nel frattempo, in una riserva confinante i lupi avevano ucciso e in parte mangiata una pecora. Questa fu abbondantemente avvelenata e il giorno dopo furono trovati morti due lupi giovani.
L'esperto, dopo questo avvenimento, ritenne inutile insistere con le sue tagliole, disse che ormai, dopo la morte dei due lupi, gli altri componenti il branco si sarebbero allontanati cambiando zona, riprese le tagliole e le scarpe e se ne andò anche lui. Rimase però in tutti la convinzione che cinque o sei lupi erano ancora nei paraggi e il relativo timore di altri danni al bestiame.
Fosse o no lo sgomento per la perdita dei compagni, ci fu in ogni modo un periodo di calma durante il quale i lupi non si fecero più vivi.
Nell’inverno del 1934, però, incominciarono di nuovo a trovare le pecore sgozzate. Vittorio, senza dire niente a nessuno, per non fare brutta figura in caso di insuccesso, volle provare ad agire da solo e,  studiate le tracce, tese i suoi lacci.
Anche allora c’era la neve e le tracce si seguivano molto bene. Un mattino, seguendo le impronte di due lupi che erano passati durante la notte, vide che si dirigevano verso un laccio che aveva teso ad un passaggio obbligato. Avvicinatosi con cautela, fu visto per primo dal lupo che era rimasto nel laccio e accolto con salti disordinati. Con una fucilata lo stecchì. Portò il lupo alla fattoria e disse di averlo ammazzato con il fucile, senza parlare del laccio per timore di non essere creduto.
Ci fu un'altra tregua di due anni e poi nel 1936 si ebbe l’episodio finale di questa lunga storia. In quell'inverno i lupi ritornarono e sembra che si trattasse di una intera famiglia, composta di un maschio e una femmina adulti e due giovani, forse i figli.
Vittorio, fatto sicuro dalla precedente  esperienza, studiando il percorso dei lupi, notò fra l'altro che si rifugiavano di preferenza in una valle con un sottobosco molto intricato e tese i suoi lacci. Un mattino, con un'altra guardia e un aiutante, tentò di sloggiarli dal loro probabile rifugio. Mise l'altra guardia alla sommità della valle, partì dal fondo con l'amico e risalì lentamente sparando ogni tanto qualche fucilata. Due giovani lupi passarono fuori tiro alla guardia appostata in alto. Ad un certo momento Vittorio e l'amico videro in distanza la sommità di un querciolo che si agitava. La lupa era rimasta al laccio legato alla base del querciolo e fu uccisa con una fucilata.
La mattina dopo anche i due giovani furono presi in due lacci prossimi al luogo dove era rimasta la lupa. Forse erano tornati a cercare la madre. Il maschio adulto sparì e non se ne seppe più nulla.
La lupa pesava 42 Kg. Il podestà di Montecatini Val di Cecina rilasciò a Vittorio un certificato di benemerenza in data 20 aprile 1936. Una colletta fra gli agricoltori e i pastori della zona a favore dei catturatori dei superstiti lupi fruttò 700 lire.
Da quell'epoca dei lupi è rimasto solamente il ricordo. D'altra parte anche le pecore si sono motorizzate e viaggiano in autocarro e i lupi, anche se ci fossero, non potrebbero seguirle.

 

 

 


Questo brano a seguire è tratto dalla Tesi di Laurea
sullo Statuto trecentesco di Monteverdi di Alunno Francesco.

 

 

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