Descrizione

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Pianta erbacea perenne velenosa, con apparato radicale costituito da un grosso rizoma cilindrico e tante radici secondarie che lo avvolgono.

Il fusto è eretto, robusto, sottilmente scanalato, ramificato, alto da 50 a 150 cm, ricoperto di peluria.

Le foglie portate da peduncolo, sono alterne, lunghe fino a 15 cm, di forma ovale-lanceolata, acuminate all’apice; di color verde opaco, ricoperte da leggera peluria. In prossimità del fiore, le foglie si presentano inserite a due a due sullo stesso lato e si alternano tra sé con una foglia grande e una molto più piccola. Se stropicciate emettono un odore sgradevole.

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I fiori crescono solitari, penduli, all’ascella delle foglie, portati su lunghi peduncoli. Hanno un piccolo calice composto da 5 sepali e la corolla, lunga 2-3cm, che si apre alla fauce, separandosi in 5 lobi triangolari che tendono a rivolgersi verso l’esterno. E’ di colore verdastro sfumato di violaceo cupo e base bianca, con 5 stami e antere molto sviluppate.

Il frutto è una bacca rotondeggiante di colore verde, nero lucido a maturità, che può raggiungere un diametro di quasi 2cm. E’ circondata dai resti del calice che la contiene con una struttura a stella. All’interno vi sono dei semi bruni a forma di lunetta, grandi 1-2mm.

Considerata mortalmente velenosa, la pianta contiene diversi alcaloidi, tra cui la josciamina, la scopolamina e l’atropina, con proprietà narcotiche e antidolorifiche. Era usata come potente antidoto per molte intossicazioni e come anestetico chirurgico prima dell’avvento degli anestetici di sintesi. Combatteva l’asma, i calcoli renali e il morbo di Parkinson e, preparata come unguento o cataplasma, leniva i dolori reumatici e muscolari. Usata anche in oculistica per facilitare l’esame dell’occhio, dilatando la pupilla mediante l’atropina. Nella moderna omeopatia la Belladonna viene utilizzata sottoforma di granuli e gocce per combattere febbre, tonsilliti e faringiti ed è disponibile anche all’interno di note preparazioni farmaceutiche che inducono il rilassamento del tratto gastro-intestinale.

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Nelle antiche credenze popolari si consigliava di coltivare 2 piante di Belladonna all’ingresso delle abitazioni per proteggere le persone e allontanare gli spiriti maligni. Conosciuta anche come erba delle stregonerie e dei riti satanici, si ipotizza che la belladonna, sia responsabile degli effetti allucinogeni dei ‘sabba’ delle streghe. Veniva usata in antichità per avvelenare la punta delle frecce e si dice anche che l’imperatore Augusto fosse stato avvelenato con questa pianta, per mano della moglie Livia.

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Secondo il botanico Pietro Andrea Mattioli, furono i Veneziani a definire per primi la pianta, come ‘Herba Bella Donna’, in quanto le dame dell’epoca usavano una lozione diluita della pianta, come collirio per dilatare le pupille e sembrare più affascinanti.

Nel 1931 invece lo studioso Maud Grieve, nel volume ‘A modern herbal’ spiegava che il nome generico ‘Atropa’ potrebbe derivare dalla mitologia greca. Atropo, si chiamava infatti, una delle 3 divinità greche del fato, che aveva il compito di recidere il filo della vita umana. La chiara allusione si riferisce alla natura mortalmente velenosa della pianta. Solo alcuni uccelli, tra cui i tordi, possono mangiarne le bacche senza riportare alcun danno, propagando così i suoi semi.

In alcune regioni d’Italia è una specie protetta.

Fotografata vicino all’Abbazia di San Rabano, nell’entroterra di Alberese.

 

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Bella donna • Atropa bella donna

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