miniera montecatini

 

Tratto da: Piano Territoriale di Coordinamento – Siti di interesse minerario e mineralogico della prov. di Pisa (Prof. Paolo Orlandi)”

Comune di Montecatini V.C. La miniera cuprifera di Caporciano, situata alla immediata periferia occidentale del paese di Montecatini Val di Cecina, rappresenta il sito minerario più importante di tutta la provincia di Pisa ed uno dei più importanti d’Italia per la sua rilevanza sia da un punto di vista puramente minerario che storico e per la presenza tuttora di importanti strutture archeo-minerarie sia nel sottosuolo che in superficie. Dal 1836 al 1866 furono estratte dalla miniera di Caporciano, la più importante miniera di rame d’Europa dell’epoca, 37.416 tonnellate di minerale (calcopirite, bornite, calcocite, digenite, covellina) con un contenuto medio di rame metallico del 30%.

Storia dei lavori: Nel 1466 il Comune di Volterra che si riservava i diritti di sfruttamento del sottosuolo in tutto il suo contado, concesse a Mariano di Matteo di Roma “fonditore di oro e minerali” la licenza di “cavare e far cavare……oro, argento, rame, piombo, stagno, ferro e acciaio(?)” in tre luoghi che lo stesso Mariano avrebbe indicato. La licenza doveva durare 24 anni pagando una tassa annuale di 40 lire mentre al comune doveva essere corrisposto, dopo quattro anni di apertura, l’8% degli utili. Fu scelto come primo luogo di escavazione da Mariano “la corte di Montecatini, ovver di Sorbaiano in luogo detto “Pozzoli”. Si formò in seguito una società composta dallo stesso Mariano, da Mariano Di Ambrogio Spannocchi, da Donato di Lorenzo detto Del Perugino e dallo scalpellino Bartolomeo da Cima, gli ultimi tre cittadini senesi. Non molto tempo dopo però la società si ricostituì solo tra Mariano Spannocchi e il fiorentino Antonio del maestro Piero. I due soci incaricarono della direzione dei lavori certo Ser Tommaso di Bonifazio Marinai. Ma questi primi tentativi di escavazione non furono fruttuosi e l’opera venne di lì a poco abbandonata.
Nel 1469 il Comune di Volterra concede una privativa di 30 anni (cioè sino al 1499) a sei soci e cioè al fiorentino Gino Capponi (nato nel 1422) per “tre carati”, al pratese Tommaso Marinai “per sei carati”; a Michele Migliorelli per “un carato”; al fiorentino Paolo Del Pozzo Toscanelli (1397-1482) per “un carato”; al fiorentino Tommaso di Lorenzo Soderini (nato nel 1403) per “sei carati” e al fiorentino Luigi di Piero Guicciardini (nato nel 1407). Ma una rivolta popolare a Volterra, a cui seguì una invasione dei Fiorentini, impedì all’impresa di iniziare i lavori. Il 30 dicembre 1472 venne di nuovo confermata dal consiglio di Volterra la privativa agli stessi personaggi per 27 anni (sino al 1499). I lavori procedettero allora speditamente e con un certo profitto sino al 1477 quando i soci decisero di appaltare la società al solo Bartolomeo di Bonifazio Marinai, fratello di Tommaso. Il minerale si fondeva sul posto a Caporciano e in parte a Miemo. Egli si impegnò a produrre dal gennaio 1578 al gennaio 1479, 200.000 libbre di rame (cioè più di 670 quintali) che doveva essere poi venduta dal banco di Tommaso e Piero di Gino Capponi. Probabilmente si lavorò a Caporciano sino all’ultima decade del XV secolo (Pilla, 1849).
Periodo Granducale (XVI – XVIII secolo): Il 21 giugno 1537 Cosimo dei Medici, figlio di Giovanni dalle Bande Nere venne eletto dall’imperatore Carlo V Duca di Firenze e nella battaglia di Montemurlo costrinse all’esilio gli avversari politici, capeggiati da Filippo Strozzi che fuggì esule in Francia. Al primo periodo di governo del giovane Cosimo appartiene un documento dove egli appare in Società con Luigi e Francesco Guicciardini, Roberto Acciaioli, Francesco Bandini, Bongianni Antinori e Ridolfo Carnesecchi per l’estrazione del rame a Montecatini, ma già nel 1539 la società risultava fallita.
Nel 1547 lo stesso Cosimo fece venire dall’Ungheria Giovanni Zeglier per aprire in Toscana nuove miniere. Ma a Montecatini, nonostante il tentativo di riutilizzare anche le scorie lasciate dagli antichi, i lavori fallirono. Di nuovo l’impresa fu ritentata con nuove maestranze a partire dal 1557 quando Alessandro Cini, zio di Renato De’ Pazzi fu nominato come “commissario” nel ricercare tutte le tracce di qualsiasi minerale sul territorio granducale. Questi fece dei tentativi prima a Montecerboli in Val di Cecina dove riaperse vecchie gallerie e dove continuò le ricerche sino al 1563 con una ventina di operai ed un maestro. Poi si rivolse alle antiche miniere di Caporciano ma nello stesso anno i lavori vennero anche qui abbandonati.
Nel 1578 però si tornò di nuovo a fare tentativi di scavi sotto Francesco I, succeduto al padre nel governo del Granducato. Fu incaricato dei lavori il capitano di Volterra Francesco Buini sotto la direzione tecnica del volterrano Maestro Nanni Rossi a cui si affiancò, a partire dal 1581, Maestro Berna anch’esso volterrano. Le operazioni di estrazione e di fusione erano assai difficoltose ma il governo diede fiducia all’impresa inviando l’architetto Bernardo Buontalenti e altri tecnici per trovare un luogo adatto all’edificazione di laboratori di fusione per la vena. La mancanza d’acqua, necessaria alla lavorazione, nei dintorni di Caporciano, fece propendere i ricercatori su un posto distante cinque miglia da Montecatini, Terenzana dove c’era una sorgente molto ricca.
Nel 1582 la fabbrica era già stata costruita e vi si portava tutto il minerale a fondere. Qui vi erano i forni, un magazzino, un lavatoio ed anche una chiesa. Nell’ottobre del 1586 venne a Montecatini un certo Girolamo di Roberto da “Batifoli” del Casentino, un battirame chiamato per saggiare la qualità del rame prodotto da impiegarsi in una eventuale fabbricazione di stoviglie.
Nel febbraio del 1587 vennero altri battirame da Prato, Firenze e Lucca. Visti i buoni risultati maestro Berna e uno dei maestri battirame si recarono a Firenze per stabilire dove costruire un “edificio del battirame” mentre insieme a maestro Davide Giorgi visitarono diverse fabbriche di quel tipo in Lucchesia per prendere spunti su una buona gestione dell’impresa. Si presentò così, alla fine di maggio, il disegno definitivo degli edifici da costruirsi davanti al Granduca Francesco. Negli anni successivi, pur tra le difficoltà derivate dalla fusione irregolare dei materiali, si continuò a lavorare sia a Caporciano che a Montecastelli mentre a Montignoso vi era l’edificio del vetriolo di rame (oggi nel territorio della provincia di Firenze).
Nel 1607 il Granduca Ferdinando concedette a Vincenzo Giugni, gran priore dei Cavalieri di Santo Stefano di far lavorare privatamente le miniere del Volterrano, di Campiglia e di tutto lo Stato senese nonché l’edificio di Terenzana. In cambio il concessionario si impegnava a versare il 10% dei guadagni dell’impresa allo Stato. Le miniere rimasero attive forse sino al 1630 quando una terribile pestilenza spopolò Volterra e le sue campagne e costrinse, se già non erano state abbandonate per i cattivi risultati, a chiudere l’impresa delle miniere di Montecatini. Passò più di un secolo prima che alcuni “signori volterrani” facessero saggiare di nuovo del minerale proveniente da Caporciano, poco dopo il 1740. Nel 1751 poi, su consiglio di due noti nobili svedesi, il barone Alessandro Funk e Reinold Angerstein, pratici di arte mineraria e amici di Giovanni Targioni Tozzetti, noto naturalista toscano del tempo, l’avvocato Giuseppe Calzabigi e una compagnia di livornesi tentò di riaprire le vecchie gallerie ma senza risultati.
Di nuovo, nel 1757, un negoziante livornese, certo Giorgio Guglielmo Renner chiese la privativa di lavorazione alle miniere di Caporciano ma dovette affrontare una disputa con altri affaristi livornesi interessati alla stessa impresa capeggiati dal ginevrino Guglielmo Aubert. La spuntò quest’ultimo che nel 1760 ottenne tutte le garanzie dallo Stato per una nuova impresa. Questa venne affidata a un certo Enrico Daniel di Francoforte sul Meno che però condusse talmente infruttuosamente i 170 lavori da essere incarcerato per frode. Di nuovo l’Aubert stimolò nuovi tecnici a proseguire l’impresa e nuovi saggi minerari vennero fatti in alcuni luoghi vicino a Riparbella, al “Botrofico” vicino a Strido e a Querceto. La mancanza di documenti però non ci fa conoscere i risultati di questi nuovi sforzi che comunque dovettero avere esito negativo se nel 1766 il Granduca ordinava al direttore delle miniere di Transilvania, certo Carlo Federigo D’Eder di ricercare miniere nel Granducato, e quella di Caporciano fu ritrovata “sterile” (Fabretti & Guidarelli, 1980) Periodo Moderno (secolo XIX –XX) : Dal 1827 al 1836: Nel 1827 Luigi Porte, Giacomo Leblanc e Sebastiano Kleiber fondano la “Società d’industria Mineraria ” per lo sfruttamento del giacimento di Montecatini.
Nel 1828 viene chiamato dal Porte a dirigere i lavori Augusto Schneider, ingegnere minerario di Freiberg in Sassonia da dove era appena giunto per tentare con un socio lo sfruttamento delle ligniti della Val di Magra in Lucchesia. Egli iniziò i lavori di preparazione e di tracciamento delle gallerie. Morto il Kleiber e ritiratosi il Leblanc, il Porte cedette la sua quota ai fratelli Orazio e Alfredo Hall eredi del Kleiber. All’inizio (1827) il Porte aveva rivolto la sua attenzione alla stretta valle detta “il Fondo di Nardone” riaprendo alcuni antichi cunicoli. Quei lavori in galleria si estendevano solo per 150 metri mentre le discenderie raggiungevano a malapena i 15 metri di profondità. Le nuove ricerche furono però infruttuose e le spese sostenute molto alte. Dopo la venuta dello Schneider si decise allora di scavare un primo piano di nuove gallerie e poi, venti metri più in basso un secondo piano di gallerie collegate al primo mediante due pozzi (Pozzo Luigi e Pozzo Albino). Si raggiunse così la profondità di 40 metri. Individuato un primo filone principale si cercò di seguirlo approfondendo un pozzo, ma subito le acque accumulatesi sul fondo dei lavori impedirono il procedere delle esplorazioni. Si decise allora di iniziare lo scavo di una lunga galleria di scolo, detta di Santa Maria che dopo 500 metri raggiungesse i nuovi lavori 20 metri sotto il livello più profondo allora scavato. La società vi profuse tutte le sue sostanze ma non si riuscì subito a ritrovare il filone individuato inizialmente. Inoltre uno dei soci del Porte, Sebastiano Kleiber morì mentre il Leblanc ritornò in Francia. Fu allora che il Porte decise di abbandonare l’impresa per le serie difficoltà finanziarie sopraggiunte (Schneider, 1883, 1889).
Dal 1836 al 1873: Nel 1836 viene fondata dai fratelli Hall un’altra società con l’inglese Francesco Giuseppe Sloane e l’italiano Pietro Iginio Coppi. I lavori migliorano e lo Schneider riuscì a portare la resa del tout venant a più del 30% in rame mentre il minerale concentrato veniva venduto in Inghilterra e parte ad una fonderia presso Prato. La miniera diventò allora la più importante produttrice di rame d’Europa. Una seconda società subentrò poi alla prima e fu formata dai soci: I fratelli Orazio e Alfredo Hall (eredi del loro zio S. Kleiber), Francesco Giuseppe Sloane (che acquistò i diritti del Leblanc) e Pietro Iginio Coppi. Il capitale impegnato fu di 40.000 lire toscane (cioè circa 33.600 lire italiane, del 1890). La miniera ebbe allora uno sviluppo prodigioso e dall’epoca della sua fondazione (1836) al 1866 furono estratte 37.416 tonnellate di minerale con una media di rendita del 30% in rame puro. La galleria di scolo Santa Maria fu collegata con i lavori superiori ma il filone sembrava restringersi e le acque continuavano a creare difficoltà nei lavori. I due pozzi Luigi e Albino furono spinti sino alla profondità di 87 metri circa (al piano poi detto Costanza, considerato il 2° della miniera). Qui il filone tornò ad essere importante e sotto questo piano si ingrandì ulteriormente. Iniziò così il periodo “d’oro” della miniera. Intanto, nel gennaio del 1838 fu iniziata una nuova galleria di scolo, detta prima della Macinaja e poi Maria Antonia, dal nome della Granduchessa di Toscana. Furono intanto scavati un 3° (110 m. di prof.), un 4° (132 m. di prof.) e un 5° (156 m. di prof.) piano della miniera mentre il pozzo Luigi funzionava come pozzo di eduzione delle acque.
Nel 1855, il nuovo pozzo Alfredo iniziò a sostituire il pozzo Luigi come pozzo di eduzione tramite una macchina a vapore. Nel 1856, dopo 18 anni, la nuova galleria di scolo venne fatta comunicare con i lavori del 5° piano (156 m. di profondità) dopo aver percorso 1313 metri all’interno della montagna, attraversando il Poggio Della Croce e il Poggio Della Cava, due prolungamenti meridionali del Monte Massi. Questa galleria, condotta in direzione NNE – SSO, a 825 metri dall’imboccatura attraversò il contatto tra le rocce eruttive e quelle sedimentarie e fu individuato un piccolo filone argilloso che seguiva il detto contatto da Nord verso Sud con una inclinazione di 30° a E. Fu allora seguito verso Sud per circa 450 metri e trovato “parcamente mineralizzato”. Poi piegando verso Sud Est e poi a Est divenne del tutto sterile, appoggiando le rocce eruttive direttamente su quelle sedimentarie. Ma nel seguire detto filone verso Sud, a 130 metri dal contatto, fu individuata una diramazione della mineralizzazione che si internava nel diabase, fu allora scoperto il giacimento detto San Demetrio. Nell’ ottobre del 1871 morì il maggiore proprietario, F. G. Sloane.
Periodo dal 1873 – 1888: Nel 1873 la miniera passò nelle mani del Conte Demetrio Boutourline, parte come legittima eredità Sloane e parte in affitto. Nel 1874 Aroldo Schneider, figlio di Augusto venne impiegato alla miniera in qualità di aiuto del Direttore Tecnico, l’ingegnere Lorenzo Chiostri. Questi, con l’aiuto dei vecchi caporali e sorveglianti della miniera riuscì a rimettere in luce le coltivazioni che secondo lui un precedente responsabile della miniera aveva di proposito occultato sperando in un fallimento dell’impresa e in uno sfruttamento futuro a suo vantaggio. Nell’agosto del 1879 morì il Conte Boutourline e la moglie continuò ad amministrare l’impresa per conto dei figli sino al 1883. In quell’anno la porzione più grande della Società venne acquistata dal Commendatore Giovan Battista Serpieri che l’amministrò sino all’aprile del 1888. (periodo dal 1888 alla chiusura (1964).
Nel 1888 il Serpieri alla ricerca di nuovi capitali costituì la Società Anonima Delle Miniere di Montecatini. con un capitale di 2.000.000 di lire italiane. Nei primi mesi dello stesso anno venne deciso di scavare il pozzo Rostand dalla superficie del suolo e il 10 marzo l’ingegnere Alberto Salerno con una impresa esterna alla miniera iniziò la perforazione con l’aiuto di macchine ad aria compressa. I lavori dovevano essere terminati il 15 di luglio ma per le difficoltà incontrate la comunicazione con i piani della miniera avvenne il 20 di agosto e la consegna definitiva il 31 agosto. Erano stati perforati 155 metri di roccia, parte nel diabase parzialmente disgregato (i 90 metri iniziali) e parte in quello compatto. La comunicazione con la parte inferiore del pozzo già perforata avvenne perfettamente grazie agli accurati studi dell’Ingegnere Carlo Papini. Contemporaneamente ai lavori del Salerno, veniva approfondito il pozzo Rostand interno sino al nono piano della miniera a 225 metri dalla superficie dove si aprì una vasta stanza che doveva accogliere la pompa per portare le acque sotterranee alla galleria di scolo. Alla fine il pozzo raggiunse la profondità di 255 metri dalla superficie.
Nel 1884 si distinguevano 11 livelli a partire dall’affioramento del pozzo principale: piano d’ingresso (a – 25 m. dall’imboccatura del pozzo) con la relativa galleria , qui erano presenti, prima dei nuovi impianti, alcune antiche gallerie obliterate dal nuovo assetto dei lavori; primo piano (livello Santa Maria, – 66 m.); secondo piano (livello Costanza, – 87 m.); terzo piano (livello Isabella, – 110 m.) ; quarto piano (livello Santa Barbara, – 132 m.); quinto piano (livello San Lino, – 156 m.); sesto piano (livello Sant’Anna, – 180 m.); settimo piano (livello Nuova Speranza, – 200 m); Ottavo piano (livello Perseveranza, – 225 m. ); nono piano (livello Aurora, – 250 m.); decimo piano ; undicesimo piano, – 300 m.), qui fu scavata una galleria con andamento sud –ovest per 100 m. si avanzò nella roccia argilloso calcarea. L’apporto di nuovi capitali favorì una breve ripresa della produzione che tornò sui livelli dei decenni più fruttuosi. In pochi anni però il giacimento si esaurì. Si arrivò così ad una prima sospensione dei lavori (1896), ad una timida ripresa e infine alla chiusura ufficiale nel 1903. I minatori allora fondarono una cooperativa e proseguirono la coltivazione dei residui dei filoni sino al 1907.
Nel 1950 sono state effettuate ricerche con il metodo della polarizzazione spontanea che hanno dato valori massimi nella valletta interposta tra Monte Massi e Poggio la Croce; ma i successivi lavori in galleria non hanno avuto esito positivo. Nel 1955 è stata riattivata la galleria di scolo proveniente da Pozzo Rostand; l’anno successivo la galleria è stata riattivata per 186 metri lungo il contatto tra il diabase e le rocce sedimentarie e prolungata di 160 metri verso il pozzo Rostand in modo da attraversare la zona intermedia tra i giacimenti già sfruttati di Caporciano e Poggio la Croce. I risultati furono però quasi del tutto negativi.
Tra il 1957 e il 1959 è stato riattivato il Pozzo Rostand fino al settimo livello, dove sono stati eseguiti 234 metri di perforazione attraverso il diabase e i cosiddetti filoni, ossia zone di laminazione e argillificazione, senza incontrare minerale utile. In considerazione di tali ricerche senza esito, la miniera è stata definitivamente chiusa il 24 aprile 1964. Nel 1978 la Società Montedison ha alienato tutti gli immobili, i terreni e l’Archivio della Miniera (De Michele & Ostroman, 1987).

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Stato attuale: Usciti dal paese di Montecatini per via Roma si prosegue in direzione ovest tra le rocce diabasiche. A 500 metri si trovano gli edifici e gli impianti della miniera. A destra, sopra una rampa, si trova la Chiesa di Santa Barbara, già chiesa di Caporciano o della Miniera; fu costruita nel 1787 e sostituì il precedente oratorio della miniera, sconsacrato in quell’anno a causa dell’instabilità del suolo. La chiesa fu inizialmente dedicata alla Madonna di Caporciano e nel 1842 fu dedicata anche a Santa Barbara, protettrice dei minatori. L’aspetto attuale risale a un restauro del 1851. Sopra il portale è collocata una bella maiolica raffigurante la Madonna di Caporciano, copia identica a quella posta nella cappella al quarto livello sotterraneo della miniera e fabbricata dalle Manifatture Ginori nel 1853. Oltrepassata la chiesa si arriva al complesso residenziale della miniera che comprendeva nell’Ottocento le abitazioni dei minatori e gli uffici amministrativi (001c). Negli anni ’70 la Montecatini ha ceduto la proprietà di questi edifici e oggi il complesso ospita un ristorante ed un residence estivo “La Miniera” e molte abitazioni. In due stanze al primo piano sono ancora conservati gli ex-uffici del direttore e l’archivio della miniera, ma questo piccolo museo locale non è per il momento ancora stato aperto al pubblico. Il complesso comprende anche l’ex Villa Sloane, abitazione di uno dei vecchi proprietari della miniera, nella quale è stata sistemata la scuola media del paese, intitolata a Guido Donegani, che fu direttore della Società Montecatini. Proseguendo si arriva agli impianti estrattivi. Sulla destra, sopra la rampa, si trova il “Guardiolo”, cioè il posto di guardia all’entrata degli impianti. In fondo è l’edificio con l’insegna “Ingresso Miniera”, che indica l’entrata alle gallerie sotterranee (001a). Fino a qualche tempo fa l’accesso era possibile fino al quarto piano, dove, a circa 250 metri di profondità, si trova la cappella scavata nella roccia con l’altare della Madonna di Caporciano, davanti alla quale i minatori sostavano in preghiera prima di scendere nelle viscere della terra. In alto, in mezzo al bosco, spunta la torretta merlata del Pozzo Alfredo, il principale pozzo estrattivo (raggiungibile dalla strada che si diparte sulla destra prima del complesso residenziale). Oggi le strutture murarie del pozzo sono state completamente ristrutturate e custodiscono ancora molti macchinari dell’impianto di sollevamento. Tra il Pozzo Alfredo e l’ingresso, ma anche a destra e a sinistra di questo, lo spazio era tutto occupato dagli edifici dell’impianto, che sono quasi del tutto crollati dopo la chiusura dei lavori. A destra dell’ingresso sono ancora visibili, in mezzo alla vegetazione, i resti della “laveria”, alcune vasche ricavate nella roccia nelle quali il minerale veniva lavato prima della fusione. Faceva parte del vecchio impianto della miniera anche il Lago Margone (001g), lungo la strada che conduce al Pozzo Alfredo, un bacino artificiale di raccolta delle acque per il rifornimento della laveria. Più in alto, oltre il Pozzo Alfredo (001b), si trova la “diga”, costruita nel 1856, una bella struttura muraria in mattoni ad archetti, che raccoglieva l’acqua per l’approvvigionamento idrico della miniera. Nel 1991 questa struttura procurò notevole allarme per le case del Quartiere Miniera perché, in seguito ad abbondanti piogge, la conduttura di sfogo dell’impianto si otturò e l’invaso si riempì nuovamente d’acqua rischiando di sfondarsi. Evacuate le case, la diga venne prosciugata dai vigili del fuoco con delle motopompe. La struttura di una fornace per la produzione di calce (001d) è visibile tuttora sul piazzale del pozzo Alfredo. Fino agli anni ’70, in tutta la zona si trovavano grosse discariche di minerale scartato, ma l’erosione del suolo e il conseguente pericolo di frane hanno ha reso necessario il rimboschimento dell’area (001f). I giacimenti coltivati nella miniera di Caporciano furono essenzialmente due: uno, il più antico, era collocato nella parte più meridionale della massa diabasica di Monte Massi caratterizzato da una direzione O.N.O.-E.S.E.; l’altro, nella parte meridionale di Monte Croce, con circa la stessa direzione. Il giacimento di Monte Massi era impostato all’interno di due lenti longitudinali che per il diverso colore vennero chiamati “filone rosso” e “filone bianco”; il primo costituito da una pasta argillosa rossastra per la presenza di ematite diffusa, il secondo da una matrice argilloso-steatitosa (losima) caratterizzata dalla presenza diffusa di pirite. Il primo, di modesto spessore, è stato osservato sempre all’interno del diabase, mentre il secondo, anche di spessori notevoli, al contato tra il diabase e le rocce sedimentarie. Il Lotti (1884) dà della mineralizzazione una descrizione accuratissima: “Il minerale vi si trova quasi sempre in masse globulari, spesso a struttura concentrica, avanti la calcopirite nella parte centrale, quindi un involucro di erubescite (bornite) e talora anche calcosina. Si hanno però anche globuli inversamente conformati e di quelli con nucleo di calcopirite, quindi un involucro di pirite avviluppato alla sua volta da erubescite. Talora i noduli sono formati da due porzioni emisferoidali di calcopirite ed erubescite. Vi sono poi masse globulari aventi vari nuclei di calcopirite rivestiti di erubescite e insieme ravvolti nella pirite; noduli a nucleo di calcopirite con 174 involucro medio di erubescite ed esterno di pirite; noduli a nucleo di erubescite contornati di pirite, il tutto rivestito di nuova erubescite….. A questi noduli formati esclusivamente da minerali di rame devonsene aggiungere alcuni più rari formati da zone longitudinali alternati di calcopirite e blenda. ….. Nelle spaccature dei grossi noduli di erubescite trovansi non di rado rifioriture di piccoli cristalli perfetti di calcosina. ……. La calcosina trovasi di frequente, altroché insieme cogli altri solfuri, anche in noduli per intiero da essa formati e quasi sempre accompagnati da ossido di ferro che manifestamente proviene dalla riduzione del solfuro di ferro del minerale originario, la calcopirite. …. In questi noduli di ematite e calcosina si aggiunge spesso il rame nativo, il quale è accompagnato quasi costantemente in tal caso da cristallini di calcite”. In questa descrizione il Lotti giustamente identifica nella calcopirite il minerale primario dal quale, in seguito a complessi e differenti processi idrotermali successivi, che l’autore tuttavia esplicitamente non nomina, si sono formati gli altri solfuri di rame e ferro nonché il rame metallico stesso. Un contributo molto più recente all’interpretazione genetica di questo giacimento si deve a Bertolani & Rivalenti (1973) i quali individuano fasi genetiche distinte: “..1) mineralizzazione primaria in vene nel diabase, caratterizzata da una temperatura di circa 400° e dalla paragenesi: calcopirite, pirite I, magnetite, Bornite I (formata per reazione ad alta temperatura tra calcopirite e soluzioni con elevata attività di S), blenda. Questa fase è probabilmente in relazione con le trasformazioni metamorfiche del complesso ofiolitico. 2) fase cementativa, la più importante, caratterizzata da prodotti di ossidazione e riduzione dei minerali primari ad una temperatura decrescente da circa 200° a meno di 100°. Si distinguono due paragenesi: a) bornite I, digenite I, calcopirite II, galena; b) x-bornite, digenite I, ematite, pirite II … 3) trasformazioni di bassa temperatura, causate da percolazioni d’acqua, dei minerali precedenti. La paragenesi di questa fase è data da pirite III, marcasite, digenite II, covellina”. Alla luce delle più recenti teorie sull’evoluzione dei fondi oceanici e dei complessi processi di deposizione idrotermale di mineralizzazioni associate alle colate laviche sottomarine, le complesse paragenesi osservate nel giacimento cuprifero di Montecatini Val di Cecina trovano un più soddisfacente modello evolutivo che soltanto in parte conferma talune ipotesi genetiche formulate dagli studiosi anche più recenti. Sulla base di queste nuove conoscenze, e senza entrare nel dettaglio delle numerose trasformazioni che le mineralizzazioni e le rocce incassanti hanno avuto nel corso della loro messa in posto e di fenomeni idrotermali correlati al magmatismo mio-pliocenico toscano, questi giacimenti sono stati definiti (Tanelli, 1983), di origine vulcano-sedimentaria alludendo appunto ai fenomeni ed al contesto della loro messa in posto primaria. Altre specie mineralogiche osservate nel giacimento di Caporciano e che sono state oggetto di lavori scientifici specifici da parte di numerosi mineralisti dell’ottocento e dei primi del novecento sono state: analcime (picroanalcime, 29, 130, 216, 217) in cristalli icositetraedrici anche centimetrici; natrolite, descritta inizialmente con il nome di savite (18, 130, 318) in cristalli ialini prismatico-aciculari pluricentimetrici; datolite in tozzi cristalli vitrei ialini centimetrici; thomsonite (picrotonsonite e sloanite, portite, 46, 130, 320,321); laumontite (schneiderite, caporcianite, leonardite, 7, 130, 208, 320, 316); tenorite; quarzo, prehnite, marcasite, malachite, langite (311), goethite, gesso, emimorfite, cuprite, crisocolla, clorite (clinocloro?); (brochantite?); azzurrite; aragonite.