Le miniere di rame nella Riserva di Monterufoli

 

 

map min rameLa Riserva di Monterufoli nota per la presenza dei celebri calcedoni, tra i suoi numerosi aspetti di interesse minerario, vanta anche una diffusione di mineralizzazioni cuprifere tanto ampia, da divenire specialmente durante il secolo XIX°, oggetto di capillari indagini geologiche e teatro di ripetuti tentativi di sfruttamento minerario.

La struttura geologica dell’area  è caratterizzata infatti da una spessa ed estesa coltre di terreni alloctoni costituiti per lo più da argille e calcari palombini, nonché da vari membri della ‘’Formazione di Lanciaia’’ e soprattutto da enormi ammassi di rocce ofiolitiche (per lo più in facies di serpentiniti). Ciò spiega facilmente, assieme alla stretta contiguità col campo geotermico di Larderello e i fenomeni idrotermali in esso attivi, la presenza di questo tipo particolare di depositi minerari.

L’origine delle mineralizzazioni cuprifere viene considerata di tipo vulcano-sedimentario sviluppatasi durante il Giurese, in zone di apertura oceanica dove le acque marine, circolando surriscaldate nelle fratture della crosta oceanica, hanno reso possibile l’accumulo di alcuni tipi di depositi minerari solforosi e ferromagnesiferi.

id 68mc gm1 002In generale le mineralizzazioni cuprifere più consistenti si rinvengono sotto forma di filoni impastati, ovvero spaccature riempite di pezzi di rocce verdi e di minerali cupriferi immersi un una pasta steatitosa, come piccole vene e filoncelli che si insinuano impregnando le rocce stesse.

I minerali che si rinvengono nelle ofioliti di Monterufoli sono per lo più: ‘Calcopiriti’ (rame giallo), ‘Erubescite o Bornite’ (rame paonazzo di colore bronzeo), ‘Pirite’, ‘Azzurite’ ‘Crisocolla’(dal bel colore verdeazzurro), ‘Cuprite’ e raramente ‘Rame nativo’. (Approf: minerali del rame)

A differenza della miniera di Montecatini Val di Cecina, di cui sono conosciute le vicende dello sfruttamento minerario preottocentesco, per quanto riguarda la zona di Monterufoli, se si escludono le escavazioni dei Calcedoni, iniziate a metà del XVI° secolo, non esistono testimonianze certe che attestino l’esistenza di qualsiasi attività estrattiva di minerali di rame dal medioevo all’800.

Solo nel 1850 vennero condotte importanti ricerche minerarie che perdurarono, tra stagnazioni, delusioni e abbandoni, fino al 1907; per riprendere attività nel periodo compreso tra il 1926 e il 1942, quando le impellenti necessità metallurgiche dettate dall’autarchia economica del periodo della guerra, imposero di riconsiderare tutte le aree italiane, interessate anche in passato da attività mineraria.

Ma oltre agli studi, le tracce e gli indizi, le ricerche cuprifere di Monterufoli, portarono quasi sempre a localizzare delle mineralizzazioni discontinue, distribuite senza regola nelle zone di faglia e nei contatti, sempre di entità modeste, caratterizzate da mineralizzazioni irregolari e poco concentrate, rendendo individuabile la zona come un’area ricca di giacimenti poveri.

Scendendo nei dettagli, l’inizio dello sfruttamento dei giacimenti cupriferi, ha alla base la ripresa ottocentesca delle attività minerarie in questa zona, riconducibile a tre diversi fattori:

  1. a) un’incipiente industrializzazione in progressivo sviluppo, bisognosa di materie prime.
  2. b) la vicinanza del polo economico e portuale di Livorno con la conseguente presenza di dinamici gruppi di imprenditori italiani, francesi e inglesi, interessati ad investimenti legati all’attività mineraria.
  3. c) l’aperta disponibilità di quasi tutti i proprietari terrieri, fino a quel momento legati esclusivamente a rendite provenienti dall’agricoltura, a concedere permessi di esplorazione e di escavazione, nelle loro proprietà, che avrebbero potuto aprire fonti di nuovo reddito e di ricchezza, nonché la valorizzazione economica anche di quei terreni talora del tutto improduttivi.

miniera di rame 1Come testimonia la ‘’Nota dell’opre fatte alla Cava di Rame di Monte Rufoli’’, relativa al periodo 18 marzo-31maggio 1854, ebbero inizio i lavori di escavazione  nei pressi della Fonte al Fico, con l’impiego di 4 operai della zona: Giuseppe Castelli, Domenico Belli, Brizzolo Berni e Domenico Barzotti. Nel 1856 i lavori si estesero alla Cava del Botro del Linari, dove si manifestavano  migliori prospettive. Fu qui infatti che si sviluppò la ‘Miniera del Caggio’ la più importante di tutta la zona.

In quest’area le ricerche condotte dal signor Enrico Coioli di Livorno, vennero a contatto con quelle condotte dalla Società Mineraria Anglo Toscana, anch’essa con sede a Livorno, che aveva acquistato i diritti nell’area di Libbiano, in parte dell’alveo del torrente Trossa e soprattutto per la più antica ‘Miniera del Castagno’.  A dirigere i lavori era addirittura l’ing. Giuseppe Meneghini, uno dei maggiori geologi italiani dell’epoca, nonché autore di alcune delle pochissime relazioni geologiche della zona. Suo collaboratore era l’ing. Lorenzo Chiostri di Pomarance, insignito di una menzione onorevole all’Esposizione Internazionale di Londra nel 1862, per la sua carta geologica su Libbiano e i campioni che l’accompagnavano.

I lavori presso il Caggio iniziati nel 1856, si prolungarono fino al 1865, raggiungendo la massima intensità negli anni 1858-1862, come fanno fede i cataloghi delle varie e frequenti Esposizioni Campionarie, alle quali partecipavano coloro che avessero intrapreso un’attività di carattere minerario o che comunque avessero interessi scientifici o economici legati alle risorse naturali e al loro sfruttamento.

id 70mc geomin 2 004Nella zona di Libbiano, le notizie relative alla ‘Miniera del Castagno’ sono più scarse. Si sa che era ubicata all’impluvio del Botro di Santa Barbara, a sud di Monte Alto e che risultava già attiva nel 1850.  Le mineralizzazioni estratte erano costituite per lo più da Calcopirite e da Erubescite che impregnavano il filone di gabbro.  Di proprietà della Società Anglo Toscana (Anglo-Italian Mining Company), la miniera intorno al 1860, sembrava offrire grandi speranze. Nel fondo della valle fu scavata una lunga galleria, da cui furono poi dipartite varie traverse e una discenderia che dava accesso a un secondo piano di avanzamento. Tra i lavori più importanti sono segnalati un pozzo profondo 150 metri e una galleria lunga 900. La miniera risultava ancora attiva nel 1874.

id 70mc geomin 2 020Oggi di essa si può osservare l’imbocco della lunga galleria armata in muratura, che si apre sulla sponda dx del Botro Santa Barbara presso la confluenza col torrente Trossa. Dallo scavo, ostruito da una frana dopo pochi metri, fuoriesce un discreto flusso d’acqua che attraversa l’antistante piazzale di discarica per poi confluire nel Trossa.

Altri lavori furono eseguiti all’Aia al Cerro (Pozzo Samuele) e una galleria al poggio Frantosini.

Ancora nella zona circostante Monterufoli, si concentrarono le ricerche e i tentativi di coltivazione mineraria, in quanto comparivano, particolarmente numerose e consistenti le mineralizzazioni di rame.

Presso Botticella furono eseguiti saggi che risultarono di scarsa consistenza. Anche al Carbonaione sul versante Nord di Poggio Montorsi fu esplorato un filone tramite due piccole gallerie. Altri lavori di ricerca sulle pendici di Poggio Gabbra, all’Ortaccio e a Fonte al Fico, presso Monterufolino dove le ricerche erano già attive nel 1854. Tuttavia i lavori che assunsero maggior rilievo furono quelli dell’area del Caggio-Linari, dove si intrapresero ingenti lavori di ricerca da parte della società di Enrico Coioli e dall’Anglo Italia Mining Company. Venne attivata una vera e propria miniera impostata su vari cantieri vicini, dei quali si possono osservare ancora pochi, ma significativi resti murari. Furono scavati 3 pozzi (Guglielmo-Edoardo, Miller e Stewart) e tutta una serie di gallerie a congiungere tra loro i pozzi per esplorare il giacimento in profondità. A ridosso dei pozzi fu costruito un locale circolare del raggio di 4 metri in cui furono collocati argani di servizio e maneggi azionati prima da cavalli e in seguito da macchine a vapore alimentate dal combustibile proveniente dalla vicina miniera di lignite di Villetta-Podernuovo, gestita dallo stesso Caioli.

Oggi, questi resti di mura diroccate, di pozzi, di gallerie, nonostante vengano pian piano inghiottiti dalla vegetazione, vogliono testimoniare con fierezza il lavoro e la fatica dell’uomo, che ha sfidato un ambiente così aspro e ostile, per strappare alla natura i segreti dei suoi preziosi minerali.

(Parte dei nostri appunti sono tratti da studi e articoli a cura del Dott. Angelo Marrucci  pubblicati dalla rivista ‘’La Comunità di Pomarance’’, che ringraziamo)