La Sassa
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Sassa è un piccolo e suggestivo castello (nella terminologia corretta si parla di castello quando ci si riferisce ad un insediamento fortificato, cinto, cioè da mura, con all’interno case, almeno una chiesa, ed un palazzo di proprietà dei signori del centro. Non si deve assolutamente identificare con quella parola qualcosa che assomigli alla Loira o alla Val d’Aosta, dove il termine indica residenze fortficate) medievale, ubicato sulle propaggini settentrionali del Poggio al Pruno, vetta più alta della dorsale collinare che separa la costa dall’entroterra volterrano.

Il toponimo, nella documentazione scritta pervenuta e nota, appare per la prima volta il 30 dicembre 1128 quando l’abate del Monastero di san Pietro in Palazzuolo, attualmente presso Monteverdi, chiedeva ad un certo Ansaldo, del fu Pelato, la restituzione di un cospicuo numero di beni che il monastero aveva concesso in affitto in epoche precedenti.  Il nome Sassa è preceduto dal sostantivo curte, che nella terminologia medievale identifica una proprietà costituita da campi, da edifici ma senza dotazione di fortificazione. Dal documento succitato appare evidente come la fondazione del sito si debba all’intervento dei monaci di San Pietro, così come a loro si deve la fortificazione di tutta la valle del torrente Sterza, territorio limitrofo al monastero e pertanto da munire attraverso la fondazione di castelli, gli stessi che oggi il visitatore trova sui colli che inquadrano il fondovalle. Le vicende storiche ascrivibili al secolo XII, assai complesse e spesso di non facile ricostruzione, sembrano suggerire un possesso del centro abitato, per lo meno in parte, da parte del vescovo di Massa Marittima Alberto che, nel 1158, ne rivendica la proprietà. Tale rivendicazione appare assai improbabile, dal momento che  nella documentazione esistente ed analizzata il vescovo di Massa appare solamente in questo caso, mentre invece compaiono assai più spesso altri detentori. Nel 1176 Sassa figura nell’elenco dei beni che papa Alessandro III conferma al vescovo di Volterra e questa volta il toponimo è preceduto dal sostantivo castrum , cioè insediamento fortificato.

È del tutto probabile che il processo di incastellamento, cioè di lenta risalita di gruppi umani su siti d’altura dalle campagne, abbia trovato compimento durante i decenni centrali del secolo XII, così come appare anche per altri siti della valle e delle aree limitrofe. Ma la proprietà del castello non doveva essere, in effetti, nelle mani del vescovo di Volterra, piuttosto in quelle dei monaci e di una famiglia, detta dei Lambardi, che appare in alcuni documenti databili alla prima metà del secolo XIII. 

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Contemporaneamente alla presenza della famiglia Lambardi, che doveva detenere il possesso di alcune parti del castello, famiglia che ricorre anche nella documentazione del limitrofo castello di Querceto, gli uomini del castello giurano fedeltà al Comune di Volterra, giuramento che si ripete per ben 3 volte lungo il secolo, segno evidente della riottosità degli uomini di Sassa a legare le proprie sorti con il nascente e potente Comune volterrano. La sottomissione definitiva si data al 1261 e da allora il castello ha legato le proprie vicende, nel bene e nel male, a quelle di Volterra.

La documentazione appare assai scarna per il secolo XIV, periodo durante il quale si ha notizia dell’invio di uomini in armi da Sassa a Volterra, secondo quanto previsto da alcuni ordinamenti datati al 1320. Al 1361 si data il documento che erige la chiesa di Sassa a pieve, ottenendo il trasferimento del titolo dall’antica pieve dei Santi Giovanni e Quirico di Caselle, sito ubicato in aperta campagna, verso meridione e verso il castello di Canneto.

Le vicende del secolo XV sono assai controverse; la documentazione scritta analizzata, soprattutto legata alle visite pastorali dei Vescovi di Volterra, evidenzia infatti una situazione drammatica dal punto di vista demografico, tanto che il castello risulta poco popolato e alla fine abbandonato. Tra il 1421 ed il 1463 il numero di abitanti, infatti, diminuisce progressivamente fino a scomparire del tutto. È questo il periodo durante il quale si verifica il crollo delle strutture medievali che hanno caratterizzato il castello per 4 secoli. Di esse oggi permangono parti di muratura della pieve, originariamente intitolata a san Nicola e successivamente intitolata a san Martino, lacerti di murature pertinenti a case torri e numerosissime bozze squadrate, tipiche della muratura romanica, reimpiegate nei secoli successivi in edifici pubblici e privati, quando il castello tornò ad essere abitato.

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Sullo scorcio del secolo XV l’abitato, ricostruito nella porzione adiacente alla pieve di san Martino, dove era sorto nel XII secolo, e dove si conservano le strutture murarie più antiche, poggianti sulla roccia viva, opportunamente scavata e sagomata, come emerge in via della chiesa, già via di castello, venne dotato di un possente torrione, con basamento a scarpa, secondo le moderne tecniche edilizie in uso nel Rinascimento, torrione che avrebbe dovuto garantire il controllo militare su tutta la val di Sterza e su ampi tratti della parte terminale della valle della Cecina. Il torrione venne edificato sul secondo punto più altro del colle, direttamente sulla roccia viva, a meridione rispetto al primitivo nucleo abitato, e rimasto in uso nella sua funzione militare per un periodo di tempo  non del tutto precisato. Probabilmente tale funzione venne progressivamente meno nel corso del secolo XVIII,  secolo durante il quale la proprietà dell’immobile apparteneva alla ricca famiglia volterrana dei Maffei, i quali dettero ordine di smantellare la parte sommitale, compreso il ballatoio ligneo, poiché minacciava rovina. È questo il momento in cui si assiste all’edificazione di un cospicuo gruppo di abitazioni che, a raggera, andarono a circondare la torre, edifici realizzati con una tecnica edilizia assai diversa rispetto a quella medievale ma che della torre utilizzò i materiali lapidei; bozze ben squadrate, infatti, ricorrono nel paramento murario di queste case che riportano, sulla chiave di volta degli archi di accesso, datazioni comprese tra il 1764 ed il 1788. 

Sassa è rimasta un comune autonomo fino alle soppressioni effettuate dai Lorena; nel 1776 è stata unita a Montecatini val di Cecina, comune del quale fa tutt’ora parte.

IL castello ha subito una significativa espansione edilizia nel corso dell’Ottocento, quando la popolazione crebbe di numero a motivo del trasferimento nel centro di famiglie dedite al lavoro nei boschi. Tutte le abitazioni che ancora oggi appaiono intonacate di terra giallastra risalgono a questo momento. La chiesa pievania, che aveva mantenuto il suo orientamento canonico est-ovest, subì una profonda trasformazione nella struttura e andò ad assumere un inconsueto orientamento sud-nord poiché a partire dal 1847 venne dotata di tre nuovi ambienti: il presbiterio, il coro e la sacrestia con stanza di servizio, ambienti che andarono ad occupare la zona dell’antico cimitero e che le hanno conferito la forma attualmente visibile.

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Il castello ha anche una seconda chiesa, più piccola, ubicata all’inizio dell’attuale Via della Torre. Si tratta della sede della Compagnia del Santissimo Redentore, e dentro ospita una statua in pietra scolpita, con applicazioni in stucco, di Gesù Redentore, a Sassa molto venerata. La nicchia che ospita l’immagine è circondata da una pittura databile al tardo Settecento, inizio Ottocento, caratterizzata da un altare a colonne tortili con trabeazione tripartita, del tutto simile agli altari neoclassici in marmo diffusi in molte chiese della Diocesi.

La chiesa, attualmente gestita da una confraternita laicale attestata a Sassa a partire dal 1609, è stata edificata alla metà del Settecento da una famiglia del castello, i Regoli, e donata da uno dei membri, Lorenzo, sacerdote, al Capitolo dei Canonici della Cattedrale di Volterra, tutt’oggi proprietari. Alla statua del Redentore sono legate molte leggende e alcune verità. La più famosa leggenda fiorita intorno a questa statua  racconta che  fosse stata ritrovata nel bosco da alcuni cacciatori che prontamente la staccarono dalla base di pietra su cui poggiava e la portarono al vicino borgo di Casale. Ma da lì, nella notte la statua fuggì, per riprendere il suo posto nel bosco. Saputo del fatto gli abitanti della Sassa partirono in processione per recuperarla di nuovo, quindi la portarono al paese e la deposero con tutto il suo piedistallo di pietra nel piccolo oratorio.  Si racconta che da allora si ebbero numerosi prodigi;  gli abitanti si rivolgevano alla statua per ricevere grazie, ma soprattutto per invocare la pioggia in caso di siccità nei mesi di luglio, quando se ne celebra la festa, e di agosto. Tra gli abitanti del paese c’è chi ancora ricorda, per averlo visto di persona, che alla fine dei tre giorni di preci al Redentore, la pioggia scendeva dal cielo, con grande felicità di tutti!

Camminando per le stradine del borgo si ha la gradevole sensazione di omogeneità data dall’utilizzo della pietra a vista e dei mattoni presenti nel susseguirsi di tutti gli edifici. Alcuni, come la chiesa e la torre stessa,  sorgono direttamente su basamenti rocciosi. 

Ringraziamo il prof. David Querci, appassionato di storia locale per tutte le notizie forniteci riguardanti il borgo di La Sassa.